Originally published in Barry X Ball: Medardo Rosso Project catalogue exh. catalogue, Venice, Ca’ Pesaro – International Gallery of Modern Art, Fondazione Musei Civici di Venezia, May 9 – Septemer 22, 2019; Published by Magonza editore

Guarda ciò che resta

Versa ceneri dove hanno reclamato il mio nome

Dicono che io sia cambiata

Che peccato se fossi rimasta la stessa

Solange, Don’t Wish Me Well, 2019*

Nel 1977 Douglas Crimp scrisse il famoso saggio Pictures nel tentativo di comprendere artisti emergenti quali Robert Longo, Sherrie Levine, Jack Goldstein, e Troy Brauntuch, tutti nati negli anni Cinquanta (tra questi, anche Cindy Sherman e Louise Lawler). Artisti che si sono appropriati di una cultura visiva che inonda le nostre percezioni, e hanno creato immagini isolate, la cui messa a fuoco è più intensa sebbene il loro approccio sia distanziante. Oggi definiamo postmoderna questa pratica di ricerca, in quanto sembra suggerire che esperienza ed emozioni non siano il risultato di nostre intuizioni, ma qualcosa che viene alimentato dalle immagini a cui siamo esposti nel corso della giornata. Secondo questa grama concezione il mediaverso, non l’universo, costituisce il vero fondamento della realtà.

Questa affermazione postmoderna trova la sua più nota illustrazione nella serie Untitled Film Stills, 1977-80, di Sherman: guardando le fotografie si ha l’impressione di riconoscere scene di film girati a Hollywood, eppure nessuno saprebbe dire esattamente di quali film si tratta – semplicemente, infatti, questi film non esistono. Ciò che Sherman ha fatto è stato ricreare un tipo di immagine familiare fotografandosi travestita, inscenando un conflitto tra riconoscimento e dubbio. Questa nostra esistenza simulata, il “mondo nuovo” in cui viviamo, è ciò che Crimp descriveva in termini di alienazione in un’epoca in cui Instagram non era stato neanche inventato: «la nostra esperienza è sempre più dettata da immagini, immagini di giornali e riviste, della televisione e del cinema. Di fronte a queste immagini, la nostra esperienza immediata retrocede, fino a sembrare cosa sempre più triviale». Con le loro immagini, questi artisti ci impongono il riflesso di un mondo appiattito, in cui noi stessi siamo personaggi superficiali, tutti compresi in un piano bidimensionale.

Left: Charles Ray, Boy with Frog, 2009, acciaio inossidabile e poliuretano acrilico. François Pinault Foundation, Venezia; Right: Jeff Koons, Balloon Dog (Blue), 1994-2000, acciaio inox con rivestimento di colore trasparente

Tuttavia, in anni recenti è divenuto chiaro che un numero di artisti nati anch’essi negli anni Cinquanta, o poco dopo, hanno cominciato con molti dei loro lavori a praticare un diverso tipo di appropriazione. Si tratta non della generazione dell’immagine, bensì della generazione delle statue, che annovera Charles Ray, Jeff Koons, Damien Hirst, Katharina Fritsch, Chris Burden, Matthew Barney e Barry X Ball. Anziché riflettere la cultura dello schermo propria del mediaverso, essi fanno riferimento ai capolavori dell’arte occidentale, non in termini di apparenza ma di presenza. Si tratta di nuove forme che citano la maestria tecnica e la maestosità sensuale delle più grandi sculture di tutti i tempi, tramutandone però il contesto e coniugandolo al presente. Formulando un’unica domanda definitiva: che significato ha un capolavoro assoluto per coloro che vivono in un’epoca che non conosce futuro?

Queste nuove statue sono dei cavalli di Troia. Boy with Frog, 2009, di Ray, una reincarnazione del David di Donatello, ci parla del decennio del 1440? Balloon Dog (Blue), 1994–2000, di Koons, che pesa una tonnellata, è paragonabile per forza alla statua equestre di Marco Aurelio (161–80)? Il rapporto è uno a uno, presente-passato. Non pretende di valutare imperi – non è sottintesa alcuna Pax Americana – ma di soppesare la capacità che hanno gli oggetti del XXI secolo di indurci a credere di essere anche loro vitali. Il giudizio è sia viscerale che intellettuale, sebbene poggi su capacità impressionanti, abilità ingegneristiche e tecniche che permettono di nascondere l’acciaio inossidabile con innocenza ed eleganza, insieme a varie altre strategie. La possibile poesia di queste nuove statue si staglia contro l’ammasso globale dell’arte visiva, dove ogni cosa funziona e tutto sembra essere importante.

In parte il mio vocabolario estetico, soprattutto i termini presenza e convincimento, è di derivazione minimalista, dove le superfici e le forme rispondono all’interesse del singolo fruitore. Michael Fried esponeva questi principi già nel 1967, in quello che, paradossalmente, era un tentativo di screditare Donald Judd, Robert Morris, e in particolar modo Tony Smith. «Conta solo e soltanto il convincimento», scriveva Fried, «e, nello specifico, il convincimento che un dato quadro o scultura o poesia o brano musicale possa – oppure non possa – reggere il confronto con le opere del passato, della medesima arte, le cui qualità siano fuor di dubbio». La tensione verso un tipo di eccellenza artistica atemporale di questa nuova arte è stata presa sul serio nei circoli accademici nella seconda metà del secolo scorso, sebbene sia stato poi il Minimalismo a far germogliare il terreno. È indicativo che il rigore intellettuale e il linguaggio formale del Minimalismo – luce e spazio reali, materia letterale e sfuggente, una ricompensa sensuale che si allarga in tempo reale – continuino a essere elaborati da artisti più giovani e di vario orientamento come Carol Bove e Rashid Johnson.

Barry X Ball parla esplicitamente di come il suo percorso sia stato influenzato da scultori minimalisti e pittori di monocromi quali Joseph Marioni e Marcia Hafif, al tempo in cui iniziava a esplorare i valori spirituali delle strutture primarie (una delle sue prime opere a parete, Panel 3, del 1982, è composta – come la trecentesca Crocifissione di Giotto – da una superficie di circa trenta centimetri quadrati in metallo dorato che splende e cambia al mutare della luce, e che talvolta trattiene il riflesso dell’osservatore). Infatti, l’importanza che viene ad assumere l’opera di Ball rende manifesto ciò che è in gioco nel tour de force del processo di lavorazione che lo accomuna ai suoi contemporanei, che potrebbero essere altrimenti visti come lupi solitari. Nelle mani di questi artisti le statue fanno da contrappunto alle immagini poiché una gamma di espressioni – dalla freddissima distanza di Hirst all’abbraccio caloroso di Ball – acquistano valore per il loro durare nel tempo, piuttosto che essere rese superflue da rappresentazioni non fedeli.

Il più recente progetto di Ball amplifica alcuni simboli distintivi che lui trova nella amata scultura italiana. In questo lavoro, Ball invoca Medardo Rosso, un coevo di Auguste Rodin; nel corso dell’ultimo decennio, con la serie Masterpiece, con un intento simile, ha citato Gian Lorenzo Bernini, Umberto Boccioni, Michelangelo Buonarroti, Antonio Corradini e l’autore di origini fiamminghe Giusto Le Court. Queste nuove sculture sono in parte il risultato della prolungata indagine di Barry attorno al modo di Rosso di usare la luce e le ombre per disarticolare i contorni delle sue opere, apparentemente non finite, e in parte del desiderio di confrontare il suo metodo di produzione analogico-digitale-analogico con le pratiche sperimentali con cui Rosso forgiava le sue sculture, lasciando che le colature rimanessero visibili. «Il mio obiettivo», ha spiegato, «è portare il già misterioso, astratto Medardo Rosso verso luoghi estremi ed enigmatici». Sono queste trasformazioni che rendono attuale la perfezione del passato.

La luce e la magia di Ball meritano un’attenzione speciale. La sua maestria integra abilità tradizionali con tecnologie sempre più sofisticate, in una maniera simile a quello che fa la Ferrari con le sue ultime macchine sportive. Il primo passo è lo studio prolungato e dal vivo di opere che catturano la sua immaginazione, mentre cerca di comprendere le proprietà fisiche che tanto lo affascinano. Con una squadra di esperti, Barry scannerizza queste opere utilizzando strumenti all’avanguardia per creare immagini digitali ad alta risoluzione e a tutto tondo in grado di rivelare la minima sfumatura. Trasforma poi i modelli con un software CAD e li scolpisce, fino a renderli quasi irriconoscibili. Queste modifiche aprono a una fase successiva di interventi: segue la scelta di blocchi di pietra esotica fatti arrivare dai luoghi più disparati della terra – scelta che avviene sulla base della coloratura, dell’opacità, della venatura, della consistenza, della densità –; l’individuazione delle forme preliminari ottenute intagliando con una sega robotica a filo diamantato per profilati robotico; la prima forma abbozzata da specialisti della fresatura CNC, e migliaia di ore di lavorazione a mano, di limatura e lucidatura eseguita dai suoi assistenti, anch’essi artisti a pieno titolo, in una ricerca tesa a rendere e a rifinire ogni minimo dettaglio. Tuttavia, come Rosso prima di lui, Ball permette alle forme finite di prendere atto del processo della loro creazione, preservando per questo le micro-scanalature, il residuo appena visibile del taglio computerizzato. «Che cosa significa renderlo mio?» domanda e risponde con la creatività e lo sforzo che ogni pezzo richiede.

Ball ha scannerizzato un totale di trentanove sculture di Rosso, appartenenti a importanti collezioni, fissando un riferimento con cui misurare le proprie risposte. La sua intenzione è lavorarle, quasi tutte, incluse le più intriganti, più volte, dal momento che la presenza non ha un’iterazione sola. Ad oggi ha realizzato ventidue modelli digitali, e altri nove sono quasi ultimati. Al momento sono diciassette le sculture pronte per essere esposte, combinate a seconda del carattere della mostra; di queste, tre sono state esposte a Maastricht nel 2019 assieme a una selezione rappresentativa del lavoro di questi ultimi anni.

Se l’arte di Rosso appare non finita, le conclusioni di Ball sono impressionanti. Tra le sculture più suggestive che ispirano il suo lavoro c’è Madame X, 1896, una testa in cera modellata e stucco, esposta a Ca’ Pesaro a Venezia. Madame X (2013–19) di Ball, un pezzo unico in calcite dorata a nido d’ape, un cristallo trasparente e traslucido che Ball ha fatto pervenire da una cava nelle montagne Uinta dello Utah, risplende dal suo interno creando un flusso di colore che va dal giallo zafferano all’ambra. La luminosità cambia a seconda di come lo spessore della pietra si amalgama al movimento dell’osservatore. La superficie è vischiosa come sciroppo d’acero e ha l’indetermina tezza della nebbia – al punto che, Ball mi ha raccontato, non riesce a scattarne alcuna foto con la macchina impostata su autofocus. Tracce di un volto sono accennate come dei sussurri, appena o per niente pronunciati. Pesa circa nove chili ma, a differenza degli oggetti minimalisti, ha la leggerezza dell’aria e non smuove alcun volume. Una vena bianca di calcite balugina lungo la superficie come un fulmine, per poi sparire senza lasciare traccia – la scultura potrebbe incrinarsi.

Matthew Barney, Water Cast 6, 2015, bronzo. Fondation Louis Vuitton, Parigi

Un’altra straordinaria opera è The Artist’s Hand (2013-19), che Ball ha creato usando un blocco di onice traslucido di colore oro e rosa, una pietra preziosa famosa per le sue proprietà curative. La scultura seduce con le qualità sensuali della superficie, la profondità, il colore, la consistenza, la trasparenza, la luminosità, per via delle sorprese che il materiale offre all’artista e all’osservatore. La sua forma è effimera nonostante il suo stato sia solido: è una nube congelata. Il lavoro non si lascia mai completamente afferrare da un unico punto di vista, ma ricompensa l’investimento di tempo ed energia. Tracce della fresatura custodiscono la storia della sua fattura, dando vita ad un gesto autoreferenziale. L’opera sarebbe figurativa se Ball non avesse incorniciato la rappresentazione di una mano di Rosso con un virgolettato postmoderno, ricoprendo la vecchia citazione con una nuova impressione astratta, non di vecchio stucco che prende vita ma di nuova pietra che reclama una grandezza passata.

La modalità di appropriazione che hanno le statue di Ball è particolarmente provocatoria, dal momento che l’artista chiede agli osservatori di considerare i dati grezzi che sottendono le emozioni estetiche. Quali fatti empirici formano le qualità trascendentali di un Rosso, di un Bernini, di un Michelangelo? Ball ha digitalizzato questa informazione. Ne ha studiato ogni sfumatura. Ha sperimentato la sua riproduzione, non come copia immediata ma come copia che raccoglie le sfide dalla più avanzata tecnologia.

Gli studi sulla riproducibilità sono pietre miliari della scienza in quanto mettono alla prova ancora una volta l’evidenza sperimentale che giustifica i principi e le pratiche comuni. Molti di questi esperimenti riprodotti falliscono, generando una crisi delle certezze in cui le congetture si travestono da conoscenza. L’arte si trova in una situazione simile, a un momento in cui la nostra fiducia viene abusata in molteplici modi. Ciò che Ball mette alla prova è il nostro atto di fede, offrendo paragoni diretti tra l’arte del presente e quella del passato. Siamo convinti? In questo tipo di sensibilità, può essere difficile individuare la linea che separa scienza e religione – la confusione è intenzionale –, perché, come ha affermato Jonathan Binstock: «Ball ci fornisce le prove per la nostra fede in Michelangelo, in Rosso». Questa grandiosa congiunzione costituisce la maniera in cui le migliori nuove statue giustificano la loro presenza.

Se Ball ha una profonda affezione per l’arte italiana, non è necessario che ce l’abbia anche il pubblico, nonostante il piacere che ne può trarre. Ognuno ha una passione privata che aiuta, anche un poco, ad arrivare alla fine della giornata, o, all’estremo opposto, a produrre arte. Ciò che conta non è un particolare contenuto da mostrare – non il sottotesto intricato di Barney o i giocattoli sospetti di Burden, non le fiabe tedesche di Fritsch o i naufragi incredibili di Hirst, o altro. Per la generazione delle statue, questi temi si fanno trasportare dalla presenza, valore costante di ogni vera opera d’arte. La presenza è ciò che richiede la nostra attenzione e invita la nostra immaginazione. Essa riempie l’esperienza di una tensione drammatica, imponendoci di prendere l’arte sul serio. La presenza è ciò che fa sì che un’opera rimanga impressa, mentre le altre scompaiono. Ciò che ho chiamato statue sono queste repliche tridimensionali del sentimento della presenza, forme postindustriali che attingono dal mondo perduto degli oggetti di fattura artigianale da noi considerati capolavori.

A differenza di una statua, che sfida la storia con il caso, un’immagine demolisce ogni grande narrazione. Un’immagine lascia trapelare il suo contesto e per questo significa solo in quanto immagine-a-immagine, in un regresso potenzialmente infinito che liquefa l’aria. Nel mediaverso non c’è scienza o religione o storia, solo rovine dell’Illuminismo. Per questo motivo, morta l’arte, non sorprende che i corrispondenti delle pagine culturali abbiano espresso all’unanimità meraviglia nel vedere le opere di Ball esposte a Maastricht, nei Paesi Bassi, e che abbiano dovuto cercare nei loro dizionari parole che raramente usano, come spettacolare, esemplare, e strepitoso12. È stata la presenza delle statue di Ball a suscitare questi giudizi eccellenti, simili alle parole con cui Jerry Saltz ha raccontato il suo incontro con il bronzo Pugile in riposo di Apollonio, che risale al 100 a.C. circa: «Al primo sguardo, rimasi sconvolto, e persi ogni senso di orientamento», ha detto, fuggendo da questo mondo verso un luogo migliore13. Nelle statue di Ball anche noi troviamo ciò che resta.

David Raskin is the Mohn Family Professor of Contemporary Art History at the School of the Art Institute of Chicago; www.davidraskin.com

*Solange Knowles, Don’t Wish Me Well, 2019. Nel 2017 si è esibita alla Chinati Foundation di fronte all’opera di Donald Judd, 15 untitled works in concrete, (1980-84).

Si ringraziano Barry X Ball e Jonathan Binstock per gli scambi chiarificatori, Jodi Cressman e Katie Geha per l’utile feedback sulle bozze preliminari e Catherine Lamendola per l’assistenza fornita durante la ricerca.

Sources: 

  1. Douglas Crimp, Pictures, in Pictures, cat. della mostra (New York, Artists Space, 24 settembre – 29 ottobre 1977), Committee for the Visual Art, New York 1977, p. 3. Nel 1979, Crimp allargò ulteriormente e modificò il saggio del 1977 presente nel catalogo per includere teorie post-strutturaliste, inserendo alcuni versi contemporanei di Laurie Anderson nell’epigrafe. Nella versione del 1977, Crimp concentrava la sua attenzione su Troy Brauntuch, Jack Goldstein, Sherrie Levine, Robert Longo, e Philip Smith. Nella versione del 1979 aggiunse Cindy Sherman (cfr. Douglas Crimp, Pictures, «October», n. 8, primavera 1979, pp. 75-88). Nel 2009, al Metropolitan Museum of Art di New York si tenne una mostra chiamata The Pictures Generation, 1974–1984 con opere di trenta artisti, tra cui Louise Lawler.
  2. Gli anni di nascita degli artisti della generazione delle immagini: Longo, 1953; Levine, 1947; Goldstein, 1945; Brauntuch, 1954; Sherman, 1954; Lawler, 1947. Gli anni di nascita degli artisti della generazione delle statue: Ray, 1953; Koons, 1955; Hirst, 1965; Fritsch, 1956; Burden, 1946; Barney, 1967; e Ball, 1955. Altri artisti, i cui lavori possono essere in parte descritti in questi termini, sono: Anish Kapoor, 1954; Roni Horn, 1955; e Robert Gober, 1954.
  3. Durante una conversazione sull’arte di Ball, Jonathan Binstock mi ha detto: «Il Balloon Dog è un cavallo di Troia». Jonathan Binstock, conversazione con l’autore, Rochester, New York, 2 marzo, 2019. Altri formuleranno associazioni diverse, ma le opere che io metterei in relazione sono: The Severed Head of the Medusa (2017) di Hirst, dal suo Treasures of the Wreck of the Unbelievable; Canova, Perseo Trionfante (1804-06), forse in dialogo con il dipinto di Caravaggio; Hahn/Cock (2013) di Frisch, e La Grande Sfinge di Giza (2575-2465 ca. a.C.); Urban Light (2008) di Burden, ed Estasi di santa Teresa di Bernini (1645-52); i manufatti in bronzo e rame di Barney, usati nei suoi film River of Fundament (2014) e Redoubt (2018), e il Laocoonte custodito ai Musei Vaticani; infine, naturalmente, la Pietà (2011-18) di Ball, e la Pietà Rondanini (1552- 64) di Michelangelo
  4. Sull’«interesse» come valore fondamentale nell’opera di Donald Judd si veda D. Raskin, Donald Judd, Yale University Press, New Haven / Londra 2010, pp. 1-7. La citazione è tratta da M. Fried, Art and Objecthood, in «Artforum» 5, 10, estate 1967, p. 21, in corsivo nell’originale. Fried usa la parola «convincimento» (conviction N.d.T,) nove volte nel saggio. Nel 2017, in occasione del quindicesimo anniversario della sua pubblicazione, al saggio Art and Objecthood furono dedicati due numeri della rivista online «Nonsite.org», del cui comitato editoriale Fried è membro. Crimp approfondisce la nozione di presenza nella versione “rivista” del suo saggio Pictures, citando Henry James: «La presenza che aveva di fronte era una presenza». L’anno successivo si dedicò alla fotografia per interrogare concetti illuministici quali individualità, libertà, e aura, scrivendo che: «Voglio aggiungere una terza definizione alla parola presenza. Alla nozione di presenza che riguarda l’esserci, essere al cospetto di, la nozione di presenza che Henry James usa nei suoi racconti di fantasmi, la presenza di un fantasma, che è dunque a tutti gli effetti un’assenza, la presenza che non c’è; voglio aggiungere la nozione di presenza come incremento dell’esserci, un aspetto fantasmagorico della presenza che è la sua eccedenza, il suo supplemento» (D. Crimp, The Photographic Activity of Postmodernism, «October», 15, inverno 1980, p. 92).
  5. Ball menziona Marioni in particolare tra coloro che hanno contribuito alla sua crescita artistica (cfr L. Mattioli, Da Duchamp a Bernini, in Barry X Ball. The End of History, a cura di A. Bernardini e L. Mattioli, cat. della mostra (Varese / Milano, Villa e Collezione Panza / Castello Sforzesco, Museo d’Arte Antica, 12 aprile – 9 dicembre 2018), Magonza, Arezzo 2018, p. 29. Dei pittori monocromi, Ball ha detto: «Poco dopo essere arrivato a New York entrai in contatto con il gruppo dei pittori radicali (o “fondamentali”) – Joseph Marioni, Marcia Hafif, Olivier Mosset, Phil Sims, Günter Umberg e altri – e assorbii il loro approccio rigoroso e ascetico al fare e al discutere la pittura». Più avanti, aggiunge: «La disciplina ferrea della pittura medievale su tavola e le strutture primarie del minimalismo, insieme alla mia ricerca di una nuova spiritualità – per sostituire quella severa della mia infanzia di fondamentalista cristiano – si fusero insieme in uno dei primi lavori realizzati a New York, le tavole dorate cui accennavi» (B.X Ball e B. Nickas, Scolpire e trasformare il corpus delle opere: una conversazione fra Barry X Ball e Bob Nickas, in Barry X Ball, The End of History, cit., p. 155). Sul commento di Marioni a Fried, si veda J. Marioni, Footnote Number 6: Art and Objectness, «Nonsite.org», n. 21, 17 luglio 2017, https://nonsite.org/article/footnote-number-6-art-and-objectness. 
  6. Sebbene meno conosciuto di Rodin presso il pubblico americano, a Medardo Rosso (1858 – 1928) sono state dedicate importanti esposizioni nel 2014-15 al Center for Italian Modern Art (CIMA), New York, e nel 2016-17 alla Pulitzer Arts Foundation di St. Louis.
  7. Barry X Ball, e-mail all’autore, 19 marzo 2019.
  8. Barry X Ball, intervista con l’autore, New York, 1 febbraio 2019.
  9. Barry X Ball, conversazione telefonica con l’autore, 7 maggio 2019.
  10. Binstock, conversazione telefonica con l’autore, 2 marzo 2019.
  11. Per la descrizione del concetto di presenza in Fried e la confutazione del suo valore estetico si veda M. Fried, Art and Objecthood, cit., p. 16. Philip Fisher ha scritto: «Similmente i nostri oggetti modello appartenenti al mondo industriale attingono al mondo cessato degli oggetti artigianali» (P. Fisher, Pins, A Table, Works of Art, in «Representations», 1, febbraio 1983, p. 56.
  12. Per la parola «spettacolare» (spectacular N.d.T.): http://www.lefigaro.fr/arts-expositions/2019/03/17/03015-20190317ARTFIG00077- tefaf-maastricht-2019-les-dix-coups-de-coeur-dufigaro.php. Per «esemplare» (standout N.d.T): https://hyperallergic.com/490921/barry-x-ball-sleeping-hermaphrodite/. Per «strepitoso» (showstopper N.d.T): https://www.limburger.nl/cnt/ dmf20190314_00096570/nieuw-bloed-moet-tefaf-meer-schwung-geven.
  13. J. Saltz, Jerry Saltz on the Met’s Incredible Boxer at Rest Sculpture, in «Vulture», 28 giugno 2013: https://www.vulture.com/2013/06/jerry-saltz-onthe-boxer-at-the-met.html.